Albatreti, un vino giovane da una tradizione antica

Pubblicato il 21 dicembre 2015

L’azienda agricola “Albatreti”, condotta con grande passione da Gaetano Salvioni – ilcinese molto attaccato alle tradizioni e membro di una famiglia di cui molti esponenti sono coinvolti nel mondo del Brunello – col fondamentale aiuto del cognato Mario Bizzarri, si trova in un lembo nascosto e intimo della collina di Montalcino, in posizione sud ovest a un’altitudine che va da 400 a 500 metri s.l.m. e prende il nome dall’omonimo podere, che è sempre stato così indicato fin nelle cartine più antiche.

Il toponimo probabilmente deriva dal fatto che i boschi del luogo fossero molto ricchi d’alberi e cespugli d’albatro, un arbusto sempreverde molto ramificato, coi rami giovani di color rossastro, detto alche corbezzolo. Tipica essenza della macchia mediterranea, è uno dei principali componenti del sottobosco e si trova a ospitare contemporaneamente fiori e frutti maturi, cosa che lo rende particolarmente ornamentale per la presenza sull’albero di tre vivaci colori, il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie. Infatti l’albatro è famoso per un’altra ragione, diciamo “storico politica”: a metà Ottocento fu preso come emblema floreale della nascente Italia e, antico simbolo del Tricolore, è proprio all’origine dei colori della bandiera italiana. Tornando al territorio ilcinese, non possiamo non ricordare che nella ritualità rurale i rami si usava porli nelle case contadine sopra le culle dei bambini per preservarli dalle influenze negative delle streghe e degli spiriti maligni. Ma, a parte queste superstizioni, un altro uso compagnolo molto importante e concreto era quello del legno, robusto e pesante, ottimo combustibile per il riscaldamento casalingo, utilizzato su camini e stufe, ma il suo utilizzo maggiore a Montalcino era sicuramente per i saporiti arrosti locali durante le ottobrate, feste famose già dal Medioevo, grazie alle sue caratteristiche molto aromatiche. “Anticamente la proprietà era della famiglia Donzellini – ci racconta Gaetano Salvioni – poi decisero di venderlo negli anni Sessanta, quando i mezzadri venivano agevolati per l’acquisto dei poderi, così fu ceduto ai vecchi coltivatori, che erano i nonni di mia moglie, Alfredo e Isola Caselli, che avevano anche quattro figli, due maschi e due femmine, una famiglia contadina vecchio stampo. Allora il Brunello a Montalcino era solo agli albori, infatti principalmente la conduzione economica del podere era basata sull’allevamento del bestiame, c’erano quattro vacche nella stalla, per le quali giornalmente falciavano le erbe per dargli da mangiare e poi vendevano i vitelli. La maggior parte dei terreni era coltivata a olivo, c’erano addirittura un migliaio di piante, allora la raccolta durava da dicembre fino a marzo e si andava a mano con la cistella olivo per olivo, purtroppo per la maggior parte furono decimati dalla grande gelata del 1985. Infine c’era una piccola vigna, subito sopra alla casa, di soli 1.500 metri, che veniva chiamata ‘vigna fitta’, infatti si poteva lavorare solo a mano, senza attrezzi e il vino era fatto solo per uso domestico, non ne veniva fatto commercio”. E cosa è successo quando hai preso in mano il podere? “Sono arrivato agli Albatreti, che si trova in una zona un po’ isolata, dov’è difficoltoso arrivare, anche se è parte d’un sentiero da trekking che si trova su tutte le guide turistiche, nel 1995 e dopo un anno ho portato il primo trattore in azienda, un Fiat 435, perché fino ad allora non esisteva niente a motore, la famiglia Caselli lavorava solo con la falce, la zappa, la picchetta e comunque hanno continuato a venire in campagna la domenica, ci davano delle indicazioni, c’aiutavano a lavorare, c’hanno un po’ instradato… Mi sono reso subito conto che l’olivicoltura rendeva pochissimo, poi ogni olivo che era rinato aveva fatto quattro o cinque polloni, ma non erano stati curati nella crescita e non erano stabili come piante, addirittura era proprio pericoloso salirci con le scale. Inizialmente ho fatto un’opera di pulizia, visto che loro, diventati anziani, non ce la facevano più a togliere gli sterpi cresciuti e il bosco si stava ingrandendo troppo, così ho preso il trattore e ho cominciato a risistemare il territorio. Nel frattempo mi ero innamorato di quella piccola vigna fitta e ho deciso di passare dell’economia dell’olivo a quella del Brunello, anche per dare una logica economica e una gestione possibile a questo podere di circa trenta ettari, di cui oggi circa venti di bosco, cinque a vigna tutta a Sangiovese Grosso e il resto a uliveto e qualche campo seminativo”. Come si è sviluppata la tua avventura nel Brunello? “I primi 2,5 ettari di vigna sono stati piantati nel 1999 e oggi abbiamo due ettari a Brunello, un ettaro a Rosso di Montalcino e altri due ettari a Sant’Antimo, tutti su terreni in forte pendenza e completamente circondati dal bosco. Il terreno è quasi tutto galestroso, molto povero e per questo perfetto per la coltivazione della vite, che non riesce a prosperare ed è costretta ad andare in profondità con le radici, per questo i miei vini sono molto minerali. I primi anni vendevo l’uva in vigna, infatti le prime bottiglie di Rosso e Brunello di Montalcino sono della vendemmia 2009 e la prossima avventura futura sarà la ristrutturazione conservativa dell’antico fabbricato del podere, intanto stiamo portandoci l’acqua corrente e già questa è una sfida…”. Ma cosa ti ha spinto verso il mondo del vino? “Come studi ho fatto il liceo artistico e l’Accademia delle Belle Arti a Firenze, infatti l’etichetta del mio vino è un dipinto che ho fatto negli anni Sessanta per una mostra d’arte estemporanea che si tenne a Montalcino e vinse pure un premio: rappresenta il paese visto dalla villa di Montosoli. Poi nella vita ho fatto l’imprenditore, mestiere che faccio tuttora a tempo pieno, quello della viticoltura è il lavoro delle domeniche e delle feste, ma soprattutto sono innamorato della vita in campagna. Di casa, sia mio padre che mia madre avevano possedimenti rurali, mio padre il podere ‘Canale’ a Montalcino e mia madre il castello di Castelmuzio vicino a Trequanda, dove si faceva vino e c’erano delle cantine grandissime con enormi botti in castagno, così da piccolo ho passato tanto tempo in campagna e ne ho sempre nostalgia… E poi sono cugino del noto vignaiolo Giulio Salvioni della Cerbaiola, nonché biscugino di Maria Grazia Salvioni, viticoltrice al podere Quercecchio, quindi una famiglia la mia tutta molto legata al Brunello”. Questa new entry del mondo di vino ilcinese è davvero un’interessante sorpresa, Gaetano Salvioni produce un Rosso di Montalcino da favola con una fantastica bevibilità, dalla bocca molto sapida e fresca con ritorni fruttati e tanti aromi floreali, direi un vino croccante e dal tannino filante. E anche il suo Brunello, dalla filosofia molto tradizionale, è davvero una bella scoperta, olfatto ricco e mentolato, bel tannino, è gessoso con bocca speziata, ma dolce con ciliegia candita, ribes nero e finale di liquirizia, un sorso freschissimo, che rilancia su note balsamiche.